Un brigatista pedina Marco Biagi uncidi giorni prima dell'omicidioPerché fu revocata la scorta a Biagi nonostante le continue minacce ricevute e una relazione dei servizi segreti, pubblicata da "Panorama", che lo identificava come un chiaro obiettivo delle BR? Cosa si stava per scoprire riguardo la mail di rivendicazione dell'omicidio?

"Non vorrei che foste costretti ad intitolarmi una sala, come a Massimo D'Antona." Con questa battuta Marco Biagi, 52 anni, si rivolgeva al ministro del Welfare Roberto Maroni e al suo sottosegretario Maurizio Sacconi.

Pochi giorni dopo, il 19 marzo 2002 venne ucciso dalle Brigate Rosse a Bologna, mentre, di ritorno dall'università di Modena dove insegnava diritto del lavoro, si apprestava ad aprire il portone e raggiungere la moglie e i due figli.

Anche lui come D'Antona era un consulente del ministro del lavoro nel governo Berlusconi, come in precedenza lo era stato di Enrico Letta e Tiziano Treu, ministri dei governi di centrosinistra. Era impegnato nella definizione delle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Nell'agosto del 2000 l’allora ministro dell'Interno Enzo Bianco, in una direttiva dispose la tutela degli obiettivi potenzialmente a rischio. Al professor Marco Biagi venne assegnata una scorta in seguito al ritrovamento di volantini recanti minacce nei suoi confronti.

La scorta fu però revocata dai comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica di Roma, Milano, Bologna e Modena fra il giugno e l'ottobre del 2001 avendo questi "ritenuto cessate le esigenze di tutela" anche in seguito alla direttiva del ministro dell'Interno Scajola del 15 settembre, che disponeva una riduzione delle scorte pari al 30% stante le nuove esigenze di forze causate dagli attentati terroristici avvenuti l'11 settembre negli U.S.A.

Ai primi di marzo 2002 in una relazione dei servizi segreti al Parlamento, pubblicata dal settimanale "Panorama", si leggeva che erano a rischio di attentati terroristici le "personalità impegnate nelle riforme economico sociali e del mercato del lavoro e segnatamente, quelle con ruoli chiave in veste di tecnici e consulenti, in cima alla lista dei potenziali obiettivi delle Br ci sono il ministro Maroni e i suoi collaboratori più stretti che lavorano nell'ombra".

Nonostante questo ulteriore segnale d'allarme, le minacce ricevute direttamente e i timori per sé e per la propria famiglia confessati ad amici e collaboratori del ministero, a Marco Biagi non viene riconosciuta la tutela delle forze dell'ordine.

Il 10 marzo 2009, a sette anni dalla scomparsa del marito, nell'aula del consiglio comunale di San Lazzaro di Savena, Marina Orlandi ha ricordato la sera precedente l'omicidio. "Quella sera Marco mi riferì la sua preoccupazione e la sua amarezza per il fatto di non aver più alcuna difesa. Eppure, disse, tratto questioni cruciali. Lo incoraggiai ad andare avanti. Il giorno dopo mio marito non sarebbe riuscito a salire le scale."

La famiglia rifiutò i funerali di Stato stabiliti dal governo Berlusconi.

Quattro giorni dopo la sua uccisione fu concessa la scorta agli altri quattro studiosi che insieme al professor Marco Biagi elaborarono e produssero il "Libro bianco sul mercato del lavoro" e al sottosegretario che li coordinava.

Il 28 giugno "Repubblica" pubblicò 5 e-mail risalenti al luglio-settembre 2001, arrivate in un floppy alla rivista bolognese "Zero in condotta", con cui Biagi chiedeva il ripristino della sua scorta al Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, al ministro del Lavoro Roberto Maroni, al sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi, al Prefetto di Bologna, al direttore generale di Confindustria Stefano Parisi.

Il 29 giugno il ministro dell'Interno Scajola definì il professor Biagi "un rompicoglioni che pensava solo al rinnovo del contratto di consulenza". Vedi a tal proposito l'articolo del Corriere della Sera . Al di là dell’assoluta inadeguatezza morale di una simile affermazione, Scajola faceva riferimento a un dato oggettivo. Il giuslavorista infatti, si era ripetutamente lamentato per le minacce telefoniche che riceveva, e proprio da lì nascevano molte sue preoccupazioni. Dovendo valutare l’assegnazione della scorta a Biagi, furono verificati i suoi tabulati telefonici e tutte le chiamate in entrata appartenevano ai familiari del giurista o provenivano dal ministero del lavoro. Scajola pensava che Biagi avesse inventato le minacce. Al contrario è probabile che qualcuno lo minacciasse dall’interno del Ministero.

A tal proposito rimane oscura la vicenda di Michele Landi, consulente informatico già collaboratore dei servizi militari di sicurezza, trovato morto nella sua abitazione di Guidonia Montecelio alle porte di Roma il 4 aprile 2002;

Landi, come tecnico a favore della difesa, era stato determinante nel far scagionare Alessandro Geri dall’accusa di essere il presunto telefonista delle Brigate Rosse, all’epoca dell’omicidio D’Antona.

Landi potrebbe essere stato ucciso perché molto vicino, anche inconsapevolmente, alla soluzione di alcuni misteri relativi all'omicidio Biagi: partendo da una traccia informatica, avrebbe individuato il computer da cui é stata spedita la rivendicazione dell'iniziativa brigatista.

In un’intervista ai microfoni di Radio24, il consulente informatico aveva spiegato le tecniche utili a risalire al mittente dell’e-mail con cui le Br avevano rivendicato l'assassinio del professore di economia. Fece intuire di aver capito fino in fondo il cammino di quel messaggio elettronico partito dalla casella H3290642270@inwind.it.

Ecco l’intervista completa:

"Dottor Landi, è stato consegnato ai magistrati di Bologna questo primo lavoro sulla ricostruzione del percorso telematico del documento di rivendicazione dell'omicidio Biagi..."

"Il lavoro non è stato eseguito dalla Guardia di Finanza... E’ stato fatto dalla Polizia..."

"Allora, qual è il suo ruolo?"

"Di tipo informale... Mi sono sempre occupato di problemi di sicurezza... Seguo anche l'attività di gruppo... Ma in questo caso non ho mai ricevuto incarichi ufficiali... Semplicemente ho partecipato in via ufficiosa a reperire informazioni relative al percorso che ha fatto quella mail.. Io sono un civile... Collaboro con loro ma ribadisco: non ho un ruolo ufficiale in questa indagine...".

"Avete trovato degli errori, dei dettagli, delle tracce che possono lasciar sperare per l'identificazione di chi ha inviato questa rivendicazione?"

"Io direi di sì perché un segno è stato lasciato e mi sembra abbastanza inconfondibile... In questo caso si tratta del famoso numero Ip... Siamo risaliti a un accesso di tipo telefonico da cui si può trovare il numero telefonico del chiamante...".

"Questo lavoro permette di individuare il server da cui è stata inoltrata la mail?"

"Sì, esattamente, sì... È un numero di accesso di Roma, della società Wind... Un fornitore di accesso a Internet... Wind ha una società interna al gruppo che si chiama InWind che fornisce accessi a Internet anche da utenze telefoniche cellulari, quindi normali... In questo caso si è visto che corrispondeva a un numero di accesso diretto di Roma... Quindi si può telefonare o con il cellulare oppure con un telefono di casa o anche con un abbonamento Telecom...".

"E questo si può fare normalmente da un Internet Service Provider?"

"Sì certo".

"Da lì è possibile individuare esattamente da dove è stata fatta la telefonata?"

"Ogni qualvolta ci si collega a un Internet Service Provider questo provider è tenuto a registrare contemporaneamente il numero telefonico del chiamante. Ogni telefonata da un cellulare o da un fisso è accompagnata da un numero di identificazione del chiamante a cui viene associata l'ora, il numero del chiamante e il sinonimo del numero Ip... Vedo da dove è stato generato questo accesso, chiamo il provider e chiedo di dirmi a quale numero di telefono è associato... Ovviamente ci vuole un decreto del magistrato che segue le indagini... Con l'autorizzazione il provider è tenuto a divulgare le notizie necessarie... Con il numero del chiamante si trova più o meno la soluzione...".

"Quindi lei mi sta dicendo che avete il numero telefonico esatto..."

"Non io direttamente... Chi ha avuto l'autorizzazione del magistrato, in questo caso credo sia la Polizia... Da quello che io ho potuto vedere informalmente è stato il numero Ip... Poi, di fatto, chi materialmente è andato a verificare a chi corrisponde questo numero Ip sono uomini della Polizia giudiziaria...".

"La Digos di Bologna..."

"Certo, anche se penso che le indagini passeranno anche da Roma. Quello che noi sappiamo sono le voci di corridoio e le notizie apparse sulla stampa...".

"E le voci di corridoio cosa dicono?"

"La mail non è partita da un Internet Cafè. Questo è stato ampiamente accertato... Dal numero Ip capisci subito che non è quello di un Server Cafè... Siccome si parla di una telefonata avvenuta a Roma, in una zona che può essere compresa tra zona Prati e la Balduina... Io credo che la chiamata sia stata fatta da un cellulare... Gli organi di Polizia giudiziaria hanno visto che il numero Ip corrispondeva a un cellulare, avranno poi chiamato il provider - che può essere Wind ma anche altri - e gli avranno chiesto quel cellulare a quell'ora quale cella telefonica stava occupando... Le celle, soprattutto in città, hanno un raggio d'azione piuttosto limitato... Suppongo io... Dalle informazioni che ho ricevuto...".

"Ci sono anche altri indizi..."

"L'unica cosa determinate è questa mail e il percorso che ha seguito...".

"È il secondo caso di una rivendicazione fatta attraverso posta elettronica..."

"Una volta venne inviata da un Server Cafè... Analogie? Tecnicamente, come modalità di spedizione, direi di no... Probabilmente ci sono nella tipologia... Credo però che la matrice sia praticamente la stessa... E probabilmente la mano è esattamente la stessa... C'è un elemento che ora non si può dire che è molto simile ai due casi... Legato naturalmente a Internet... Nella tipologia... Nel modo in cui sono stati mandati i messaggi... E’ un'analogia sottile... Le informazioni che si stanno raccogliendo in questi giorni non sono determinanti ma incrociate con altre inchieste... Beh, certo lo sono... Faccio un esempio: il telefono cellulare utilizzato avrà dentro una scheda di abbonamento ricaricabile comperata certamente con false identità... Però il cellulare ha anche un numero di serie che ha una sua storia... Forse quel cellulare è stato utilizzato altre volte con altre schede... O comperato di seconda mano... Poiché questi dati storici vengono mantenuti anche a distanza di anni, le famose ricerche incrociate sul data base o sulle informazioni esistenti possono portare a restringere l'indagine verso un profilo di chiamata più preciso... Incrociando il filone investigativo di tipo tecnologico con attività tradizionali si arriva a identificare se non l'individuo una ristretta cerchia di sospetti...".

"E questo è il caso?"

"Questo è assolutamente il caso...".

Qualche giorno dopo quell’intervista verrà trovato morto nella sua abitazione. Landi era tornato a casa alle quattro del mattino dopo aver passato una serata con amici in un locale nei pressi dell'Eur. Ore dopo i carabinieri entrarono in casa trovandolo impiccato nel soggiorno. La porta chiusa, la luce accesa, la finestra aperta. Landi portava al collo una corda di trenta metri legata alla scala.

Tre particolari non convincono: il cappio gli stringeva il collo in senso contrario al nodo sul davanti sotto il mento, lo strappo violento della corda si ferma solo dopo 60 centimetri, Landi ha un ginocchio appoggiato sullo schienale di un divano e l'altra gamba che sfiora il pavimento.

Il sito di Landi nel quale c'erano conservati dei documenti importanti criptati e protetti da password ha subito sette giorni dopo il ritrovamento del suo cadavere un attacco da parte di un hacker e quei documenti non sono stati mai più ritrovati.


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